A passo lento
mi muovo su questo sentiero.
Accorta ad ogni insidia,
Cercando di non mettere il piede in fallo,
di non perdere la retta via
districandomi tra realtà e follia.
Un gioco di equilibri
guido te
senza smarrire me.1
Qualche mese fa, mi è capitato di leggere:
Un pericolo può venire piuttosto dagli allontanamenti fisici della mamma, di qualche giorno, nei primi 9 mesi di vita. L’attaccamento primario prevede continuità di presenza. Allontanarsi dal neonato per trasferte o vacanze risulta un azzardo educativo che rischia di creare conseguenze emotive imprevedibili nel cucciolo.
Si tratta della parte finale del capitolo: “Ogni cosa a suo tempo. Il primo anno di vita. L’attaccamento primario per creare sicurezza tutta la vita”, del libro di Daniele Novara, Organizzati e Felici, Rizzoli.
Per tutto il capitolo, che parte dalla gestazione e dal parto2,percorrendo le varie fasi di sviluppo del bambino nel primo anno di vita e la relativa organizzazione familiare, l’unica domanda che continuava a ripresentarsi nella mia mente era:
e la donna, in quanto persona, dov’è?
Ho ripensato ai miei primi 9 mesi di mamma, di quanto quella condizione mi rendesse per il resto del mondo non più una persona con le proprie esigenze, pensieri e interessi, ma solo e unicamente “un ruolo”, la mamma, che aveva e doveva avere una sola funzione accuditiva e simbiotica con mio figlio.
È qualcosa che accade nell’esatto momento in cui dichiari alle persone intorno a te di essere incinta. Da quel momento il tuo corpo diviene “un luogo pubblico, un contenitore in cui è custodito un carico prezioso: il figlio, che il mondo reclama con un senso di proprietà.”3
Il mondo è concentrato sulla tua salute, ma solo in relazione alla salute del bambino che deve nascere. E, se in questa fase si può avere l’ovattata sensazione di essere tornati a propria volta bambini accuditi dagli altri, in realtà tutto termina nel momento in cui si è in sala parto.
Quanto potere di scelta ha una donna sul proprio parto?
Il fatto che alcuni percorsi ospedalieri non prestino alcuna attenzione ai bisogni e alla volontà della donna, imponendole per esempio la posizione da assumere durante il travaglio e il parto, può provocare un effetto dannoso sulla salute di madre e neonato. Aver subito pratiche invasive, il non essere stata informata, l’essere stata trattata con poco rispetto, può far vivere il travaglio e il parto come momenti traumatici e questa esperienza può portare la donna a provare sentimenti di svalutazione e auto colpevolizzazione: pur non avendo alcuna responsabilità, le donne possono rimproverarsi di non aver gestito e vissuto il parto come desideravano, di non essere riuscite a tenere il proprio bambino con sé, di non essere state in grado di farsi sentire.4
L’inizio di quest’anno si è aperto con la notizia di una donna che, addormentatasi mentre allattava, aveva finito per soffocare il figlio avuto da 3 giorni.
Su questa notizia si sono aperti i dibattiti più disparati: da quello dell’allattamento al seno vs latte artificiale, fino alla necessità o meno del rooming-in degli ospedali.
Ma in realtà questa tragedia è avvenuta per un solo motivo: non si è vista la persona come individuo. Una persona stanca, che si è vista negata qualsiasi aiuto (perché per un mero stereotipo essere madri è una cosa naturale e innata) e che è stata lasciata sola.
Abbiamo bisogno di storie che aboliscano il silenzio e l'isolamento
È un errore sempre raccontare un’unica storia, pensare che una mamma sia un blocco monolitico e non una persona che ha le sue identità.
Scrive Rachel Cusk nel suo libro Il lavoro di una vita. Sul diventare madri:
Il parto divide le donne da se stesse.
Per essere una madre devo ignorare le telefonate, lasciare il lavoro a metà, venir meno agli impegni presi. Per essere me stessa devo lasciar piangere mia figlia, anticipare le sue poppate, abbandonarla per uscire la sera, dimenticarla per pensare ad altro. Riuscire a essere l’una significa fallire nell’essere l’altra.
Possiamo avere figli o non averli. Possiamo avere figli e abortire. Possiamo allattare al seno o con il latte artificiale. Possiamo partorire naturalmente o con il cesareo. Possiamo goderci del tempo per noi o dedicare quel tempo ai nostri figli. Non c'è giusto o sbagliato, ci sono una moltitudine di combinazioni che costruiscono le nostre esperienze e le nostre identità. Ogni combinazione è legittima.
E come ho detto, c’è bisogno di ascoltare voci e allora ho chiesto a Irene Caselli, giornalista e autrice della newsletter The First 1,000 Days la sua di storia di mamma e e professionista, che trovate nella parte finale di questa newsletter, nella sezione “Altre parole, altre voci”.
Riti
Nell’astrologia e nel mito, l’astro che rappresenta il principio femminile, è la Luna. La sua ciclicità, che ha una durata di 28 giorni solari, è stata da sempre associata al ciclo mestruale (che ha una durata simile) e al parto5, ma anche alla fertilità della terra e ai ritmi di crescita delle piante.
Quest’associazione simbolica deriva in gran parte dal fatto che i cicli mestruali hanno un andamento che richiama quelli lunari. Il corpo della donna offre così una visione microcosmica dei ritmi universali. La ciclicità rappresentata dalla luna è simbolo dello scorrere del tempo: rende manifesto il perpetuo ricominciare.6
Una ciclicità che regola anche il nostro corpo e il nostro benessere, dalla cura dei capelli all’inizio delle diete. E per sapere quindi quali sono i giorni migliori per prendersi cura di sé, ecco il calendario lunare del 2023, da consultare ogni giorno.
Nel proprio tema natale astrologico7, la Luna rappresenta il nostro mondo degli affetti, la famiglia, l'infanzia e tutto ciò che riguarda le nostre emozioni, ma rappresenta anche l’inconscio, l’immaginazione e indica il modo in cui reagiamo istintivamente ed emotivamente alle altre persone e agli eventi.
Per sapere il punto esatto in cui la Luna si trovava nel nostro cielo, nel momento in cui siamo nati, questo è il miglior calcolatore riconosciuto dagli astrologi.
Visioni
Presentato al Festival del Cinema di Venezia del 2021, The Lost Daughter è il film che vede l’esordio alla regia di Maggie Gyllenhaal. Tratto dal romanzo La Figlia Oscura di Elena Ferrante, il film esplora l’ambivalenza dell’essere donna e l’essere madre.
Tutti vorrebbero essere solo una persona, ma si è anche l’altra, ed è bello rappresentarlo. Mi ha intrigato. Si apre alla verità, alla sua perversione, alla disperazione e al terrore che fanno parte dell’essere genitore.
Ha dichiarato in conferenza stampa, Olivia Colman, che interpreta la protagonista, Leda.
Letture
Il lavoro di una vita è un libro scomodo, molto criticato, io penso perché tratta di cose che una donna che diventa madre pensa, ma ha paura di dire.
Rachel Cusk parla della sua esperienza di maternità nel primo anno di vita della prima figlia, soffermandosi sulle trasformazioni del corpo a cui siamo impreparate, alla crisi identitaria, a volte annichilente, che si attraversa con la prima gravidanza.
Cosa sia la violenza ostetrica, le sue sfaccettature e le conseguenze che ne derivano, ma soprattutto che non si tratti solo di azioni relegate al momento preciso del parto, l’ho scoperto grazie al fumetto inchiesta di Irene Caselli e Rita Petruccioli Da che mondo e mondo, pubblicato da La Revue Dessinee Italia.
Vi consiglio di leggerlo per capire quanta parte della maternità non viene raccontata e sottaciuta.
Altre parole, altre voci
Ho scoperto di essere incinta per la prima volta da poco atterrata a Buenos Aires, dove avevo vissuto con il mio compagno argentino fino a due anni prima, e dove ritornavo ad abbracciare amici e famiglia dopo un lungo periodo nomade in Europa. Il test era positivo, e non sapevo bene cosa fare: poche ore dopo avevo un volo per New York per una borsa di studio che avevo vinto per partecipare ad un seminario per giornalisti per imparare sullo sviluppo dei cervelli nella prima infanzia a Columbia University.
Scrivo questo non perché voglio dare l’impressione di essere una jet-setter. Viaggio molto, ho vissuto in una dozzina di paesi, e lavorato in molti altri. Il poter viaggiare e parlare con gente molto diversa è quello che mi spinge a rimanere una giornalista.
Racconto di come ho scoperto di essere incinta perché mai come quella fredda giornata di fine giugno (dell’inverno australe), ho sentito una stanchezza profonda nelle ossa, una sensazione di non poter fare niente. Ho pensato di scrivere alla Columbia e dire che non avrei potuto partecipare. Volevo mettermi a letto e dormire.
La gravidanza si è appropriata del mio corpo, ne hanno scritto in tante, in una maniera assoluta. Mi ha lasciato poche ore di lucidità al giorno, e una strana sensazione di calma. È stato l’inizio di un periodo nuovo della mia vita, dove ho sentito paure profondissime (potrà il mio corpo gestire questa nuova vita, potrà il mio lavoro sostenere la famiglia), una spinta creativa enorme, molta solitudine e stanchezza, ed una sensazione che tutto portava alla stessa idea: se siamo stati tutti bambini, se la neuroscienza ci dice che la gravidanza e i primi cinque anni di vita sono fondamentali in come crescono i nostri cervelli e in come diventiamo adulti, che perché dell’infanzia ce ne occupiamo così poco e così male come società?
Il mio essere mamma, nella sua confusione e caos, mi ha aiutato a vedere meglio molti processi di disuguaglianza e ingiustizia e mi ha spinto a scriverne regolarmente, fino alla creazione della mia newsletter The First 1,000 Days.
Questo è un altro estratto del capitolo: “Mi raccontava una mamma di aver subito manovre a dir poco maldestre, che avrebbero dovuto aiutarla a partorire. Alla fine non sono state nemmeno sufficienti e le sono ‘costate tre costole’.”
Spesso per verificare quando avverrà il parto, si guarda a quando la luna diventa piena.
Il Tema Natale è la fotografia del cielo nel momento esatto della nostra nascita
Grazie ♥️!
Bella newsletter, Satya. L'ho letta con molto piacere!