Il potere nascosto che abbiamo smarrito
"Non dubitate mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi e impegnati possa cambiare il mondo. In verità, è l’unica cosa che è sempre accaduta" Margaret Mead

È stato davanti a un tè di un tardo pomeriggio invernale, parlando con la mia amica Flavia dell’ennesimo sgretolamento di un progetto di gruppo arenatosi davanti all’individualismo, che ho espresso l’idea di raccontare di come stiamo perdendo il senso di comunità.
Secondo una recente ricerca del Censis (dall’emblematico titolo: “La tentazione del tralasciare”), solo il 15% degli italiani si sente parte attiva di una comunità al di fuori della propria famiglia. Tra i giovani, più della metà non si riconosce in alcuna comunità, e tre su quattro non ne sentono nemmeno la mancanza. Questo distacco si accompagna a una percezione di scarsa influenza sull’ambiente circostante: il 48% dei cittadini – e addirittura il 60% dei giovani – ritiene di non avere alcun impatto sulla società in cui vive.
Sono numeri che disegnano un Paese dove la partecipazione si assottiglia, il legame sociale si indebolisce e il senso di responsabilità condivisa si perde.
A furia di essere immersi nel primato dell’opinione, nel presentismo del circostante e nella rottura dei momenti di relazione, molti cittadini hanno assunto atteggiamenti di disimpegno sociale, politico, istituzionale ed elettorale. È la tentazione del ritiro: non farsi carico dei problemi collettivi, ignorare gli spazi comuni della partecipazione – dal seggio elettorale alla messa domenicale – fino ad arrivare a un isolamento diffuso, spesso inconsapevole.1
È quella che il Censis ha definito la condizione dei “sonnambuli”.
Già 10 anni fa, nel 49° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, il Censis descrive una società a “bassa consistenza” e con “scarsa autopropulsione”, afflitta da un “letargo esistenziale collettivo”. Una società dove “senza progettazione per il futuro, la cultura collettiva è prigioniera della cronaca e del consenso d’opinione” e dove “vincono l’interesse particolare, il soggettivismo, l’egoismo individuale”. La disarticolazione della struttura sociale porta alla caduta della coesione e all’indebolimento delle strutture intermedie – come associazioni, parrocchie, sindacati, circoli – che hanno storicamente garantito equilibrio e rappresentanza.
Del resto, in quegli stessi anni il sociologo Zygmunt Bauman trattava della dicotomia Comunità/community. I social media hanno creato spazi di aggregazione virtuale, che ci rendono liberi e poco impegnati verso gli altri, mancando del radicamento nella realtà, della fiducia, dello scambio quotidiano.
A differenza delle comunità vere e proprie che ci fanno appartenere a un gruppo e che si strutturano in spazi fisici reali.
Il sociologo Eric Klinenberg, ospite di un episodio del podcast dell’Atlantic, How to Talk to People, parla di infrastruttura sociale: luoghi fisici come biblioteche, parchi, sale parrocchiali che facilitano l’incontro tra le persone, ambienti che generano fiducia, riconoscimento e cura reciproca. Difendere gli spazi condivisi non è solo una questione urbanistica: è un gesto politico e culturale.
Il senso di comunità non nasce per caso, ma si costruisce – o si distrugge – con le scelte che facciamo come società. Se gli unici spazi pubblici accessibili sono quelli che ci vendono qualcosa, come i bar, la socializzazione diventa un effetto collaterale del consumo, e non il suo scopo.
Ripensare le nostre città, quindi, vuol dire anche difendere e investire in quelle infrastrutture sociali che tengono insieme il tessuto umano. Perché dove esiste uno spazio dove fermarsi, chiacchierare e condividere il tempo, lì nasce una comunità.
L’uomo è per natura un animale sociale, e chi per natura e non per caso vive fuori dalla comunità è o un bruto o un dio2
Lo scriveva Aristotele. È nella relazione con l’altro, nella vita collettiva, che l’essere umano realizza pienamente se stesso.
Se oggi camminiamo come sonnambuli tra le rovine di legami spezzati e spazi svuotati di significato, non è perché la comunità sia diventata superflua, ma perché abbiamo smarrito la consapevolezza della sua necessità. Ricostruirla significa riscoprire il valore del “noi” in un tempo dominato dall’“io”, e ridare senso alla partecipazione come gesto quotidiano di appartenenza e responsabilità.
Visioni
Per sopperire a questo senso diffuso di solitudine urbana, le serie Tv anni 90/2000 offrono un rifugio emotivo attraverso la rappresentazione di una comunità coesa e solidale. La comunità non è solo un vezzo estetico, ma è una risposta emotiva a un bisogno profondo. Quelle piccole comunità immaginarie, con i loro drammi minimi e le loro feste improbabili, parlano a una parte di noi che ha fame di connessione reale, di rituali condivisi, di storie raccontate insieme.
Io vi segnalo le mie preferite:
📺 Gilmore Girls (non ci credo che non la conoscete, ma se davvero fosse così, vi rimando alla nota!3). In un bell’articolo sulle colonne del “The Brown Daily Herald”, CJ Lair mette in risalto i cosiddetti “third places”, ovvero luoghi d’incontro non domestici né lavorativi, come il caffè di Luke o il gazebo in piazza: sono spazi che favoriscono la spontaneità, la connessione e la fiducia all’interno della comunità. In questi luoghi condivisi si costruisce quel tessuto sociale di cui oggi sentiamo nostalgia. Lo leggete 👉 qui
📺 Un medico tra gli orsi (Northern Exposure) (difficilissima purtroppo da trovare in giro) a cui sono particolarmente legata (se volete scoprire perché, vi rimando al numero 0 dell’Atlante delle idee).
L’arrivo del giovane medico newyorkese Joel Fleischman nella sperduta Cicely, in Alaska, diventa l’occasione per raccontare un’altra forma di legame collettivo. Cicely è una comunità strampalata, quasi surreale, dove si mescolano spiritualità, ironia, cultura e affetto silenzioso. Nessuno è “normale”, eppure tutti sono parte di qualcosa. In quel caos orchestrato di personalità eccentriche, il protagonista scopre che il senso di appartenenza non nasce per forza dove lo si aspetta, ma può sorprenderci nei luoghi più improbabili.
Relazione di Giuseppe De Rita, presidente del Censis, del 5 marzo all’evento “Ripartiamo da febbraio ’74. La tentazione del tralasciare”, presso la Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso.
Aristotele, Politica, Libro I, Capitolo 2
Una serie dove il caffè scorre più della trama e i dialoghi vanno alla velocità della luce. Lorelai e Rory, madre e figlia con zero filtri e mille battute, vivono a Stars Hollow: un paese talmente pittoresco che ha più festival che giorni dell’anno.
Grazie, mi sto dannando su questi stessi temi. Corro a studiarmi le fonti interessantissime che hai raccontato, mi cerco un angolino da far diventare spaio di comunità e vado alla ricerca di "Un medico tra gli orsi"!