Fascinazioni mistiche
Oh like a bird on the wire,
like a drunk in a midnight choir
I have tried in my way to be free.
Come un uccellino su un filo / Come un ubriaco nel coro di mezzanotte / Ho provato a modo mio ad essere libero.
(Bird on a Wire, Leonard Cohen)
È andata esattamente così.
Un giorno Alice Fadda consiglia Soli, un podcast sui bambini di Osho.
Inizio ad ascoltarlo, altre persone del mio gruppo di lettura lo ascoltano e, nella trepidante attesa delle nuove puntate, diventa oggetto di discussione. È così che anche mi ritrovo immersa nel vortice dei podcast di Roberta Lippi.
Dopo Soli, è arrivato Dragon Lady, la testimonianza di Deeksha, una delle donne di potere dell’entourage di Osho. Infine, Love Bombing, dedicato alla tecnica di manipolazione mentale usata da sette religiose, professionisti o semplici persone.
“Siamo tutti pronti a entrare in una setta”
Ma perché ci affascinano così tanto le storie su sette e culti religiosi?
Per la rubrica Altre parole, altre voci ho chiesto proprio a Roberta Lippi cosa l'avesse spinta ad avvicinarsi a certi temi e trasformarli in argomenti per i suoi podcast. E poi anche ad Alice Fadda, essendo una persona completamente a digiuno di questi argomenti, una sua impressione dopo l’ascolto delle storie raccolte nei podcast.
Ho trovato poi interessanti gli spunti di un editoriale su “Domani” di Jonathan Bazzi: “Queste formazioni sociali, di per sé, si fondano su una struttura narratologica eccezionale: sono miniature più nette e incisive, narrativamente perfezionate, della società. I loro confini rigidi, precisi, creati dall’adesione a codici e forme elaborate di disciplina, generano parabole dall’alto potere affabulatorio. Le sette infatti riscrivono la realtà, ricodificano bene e male.”
Per me, invece, credo che in qualche modo c'entri l'origine indiana del mio nome, che fin da piccola mi ha portato ad allargare lo sguardo ad altre culture e fenomeni. Forse perché rivelano che abbiamo molto meno controllo del nostro comportamento di come vorremmo credere. Sicuramente c'entrano gli incontri con persone che quelle esperienze le hanno vissute e che mi hanno insegnato che i principi non si riferiscono alla religione, ma a una forma di meditazione. O ancora il fatto che queste realtà sono meno distanti di quello che crediamo. E l’ho sperimentato anche io.
“R. Hubbard”, ripetevo nella mia testa, alla fine di quel lunedì di formazione aziendale.
Era un nome che avevo già sentito, ma di cui non trovavo alcun nesso con la multinazionale estera per cui lavoravo, né con il corso di potenziamento della produttività aziendale che era iniziato quel giorno.
Provate voi a cercare su Google quel nome e vedrete cosa ho provato io quel giorno.
Sono stata catapultata improvvisamente nel mondo di Scientology.
Può sembrare di essere così distanti da questi mondi, ma può capitare in qualsiasi momento di entrare a contatto con sette o culti religiosi.
Basti pensare che nella rete di Scientology ci finì anche il ministero della Pubblica Istruzione quando, durante il periodo di Letizia Moratti, fu concesso a un loro ente l’accreditamento per la formazione degli insegnanti della scuola pubblica. E non è l’unico esempio.1
Riti
In astrologia, il pianeta che governa il misticismo, le religioni, la spiritualità è Nettuno. Raffigurato come il dio degli Oceani,
il più primitivo degli dei, il rivoluzionario, il dio delle tempeste e dei terremoti, della devastazione improvvisa portata dalle onde del maremoto. è il pericolo che si scatena quando erompono le forze che dormono sotto la superficie della coscienza2
è un pianeta lento, generazionale, che accomuna tutti i nati di un determinato decennio che lo hanno nello stesso segno.3
In questo momento Nettuno è in Pesci, suo segno di elezione, e ci resterà fino al 2025. Se il pianeta rappresenta tutto quello che non si può governare, catalogare, controllare, i Pesci sono il segno dell’emotività e dell’empatia, quando il pianeta si trova in questo segno si avrà un incremento di tutti questi elementi caratteriali, rischiando di allontanarci dalla realtà portandoci verso eccessi mistici, populistici e ideologici.
Il modo migliore per incanalare le energie di Nettuno è di fare meditazione, ancora meglio se vicini al mare o visualizzando l’acqua in movimento. Qui potete trovare la meditazione più adatta a voi.
Visioni
Di documentari sul tema se ne trovano tantissimi sulle varie piattaforme, tra i tanti: Wild wild Country che parla dell’esperienza americana della comunità di Osho, Sanpa in cui si ripercorre la storia della comunità per tossicodipendenti creata da Vincenzo Muccioli, Going Clear su Scientology, fino a Veleno, tratta dall'omonimo podcast, sui "diavoli della bassa modenese".
Ma io ho voglia di consigliarvi una narrazione più leggera, con due visioni che solo per un puro caso hanno entrambe come protagonista Andrew Garfield.
Si tratta di The Eyes of Tammy Faye un film che nel 2011 ha addirittura vinto 2 statuette Oscar, che narra dell’ascesa e discesa di una famosa coppia di telepredicatori evangelici Tammy Faye (Jessica Chastain) e Jim Bakker (Andrew Garfield) che ha costruito il proprio impero multimilionario negli anni '70.
E poi c’è Under the Banner of Heaven, una crime series, in cui il detective mormone Jeb Pyre indaga su alcuni delitti avvenuti all’interno di quella stessa comunità.
Ascolti
In un vecchio articolo di Vice, ho scoperto che molti guru e leader religiosi sono stati anche grandi cantanti, addirittura L. Ron Hubbard, al quale, con la canzone “Thank you for listening”, affido il sottofondo musicale da ascoltare mentre leggete la newsletter di oggi.
Altre parole, altre voci
La storia della mia ricerca relativa alla comunità di Osho è nata per puro caso. Una domenica pomeriggio del 2018 ho guardato, come molti altri, la docu-serie Netflix Wild Wild Country. Sapevo vagamente che parlava di Osho, che conoscevo di nome sapendo di persone che lo avevano letto e di altre che lo avevano avvicinato negli anni 80, ma a dire il vero il mio approccio rispetto alla serie era più che altro dettato da pura deformazione professionale· mi avevano detto che le 6 puntate erano per lo più state costruite con materiale di repertorio e mi interessava scoprirne l’approccio.
La serie mi ha letteralmente fatta cadere nella tana del Bianconiglio. Ricordo che ho finito la sesta puntata in metropolitana. Credo non mi sia mai più successo da allora. Quando ho finito la serie l’ho riguardata da capo.
Perché? Non lo so.
Dopo la seconda visione mi mancava ancora qualcosa. Ho iniziato a cercare e cercare online informazioni su persone, luoghi, fatti. C’era altro che volevo scoprire, ma non sapevo cosa, anche perché la serie trattava solo una parte della storia della comunità: il periodo americano. Ogni articolo che leggevo, ogni file che trovavo mi apriva nuove domande. Lessi addirittura gli atti del processo, articoli degli anni ‘80, cercai ogni singolo video che mi raccontasse anche dell’India. Guardavo i volti, volevo conoscere le loro storie. Dopo due o tre giorni di pura ossessione capii che dovevo raccogliere le risposte alle domande che mi stavo facendo in un libro: non potevo essere l’unica pazza che era caduta in quella ossessione!
Chiamai così la mia casa editrice di allora e dissi : “Ho un instant book, se non lo volete voi me lo pubblico da sola”. Lo vollero. E mi fecero impazzire perché io ci lavorai giorno e notte e scrissi in 15 giorni Wild Wild Sheela. Le 100 cose che Wild Wild Country non vi ha detto e state cercando su Google, mentre loro ci misero un mese per pubblicare un Ebook. Fu una sofferenza.
Perché? Non lo so.
Durante quelle ricerche così forsennate mi rimase un tarlo in testa: i bambini. Era l’unico capitolo che restava in ombra. Perché a Rajneeshpuram non se ne vedevano? Perché nei video di Puna vagavano da soli? E perché esistevano statistiche sulla comunità che parlavano di natalità zero in quegli anni? Cos’era successo a quei bambini tra il periodo indiano e quello americano? Da quelle premesse è partito il lavoro fatto poi nel podcast: la raccolta dei ricordi dei figli dei sannyasin. Un progetto che ha preso vita e ci ha accompagnato fino a qui. Con Storielibere lo diciamo sempre: questo podcast è un lavoro aperto.
Non ho potere su di lui, io vado dove lui mi chiede. Succede naturalmente, a mano a mano che attraverso le storie e passano gli anni. Così come è successo con Deeksha, che solo oggi ha deciso di raccontare la sua storia e ha deciso di farlo con me.
A volte ancora mi chiedo perché, ma ormai ho capito che non bisogna farsi domande. Quel giorno dovevo cadere nella tana del Bianconiglio e oggi sono fiera di esserci entrata.
Fino a un po’ di tempo fa se mi dicevi setta pensavo a Charles Manson e alla sua famiglia sotto allucinogeni, pensavo ai suoi occhi sgranati e immediatamente scacciavo quell’immagine. Poi ho scoperto la storia della comunità di Osho, raccontata nei podcast di Roberta Lippi. E la setta ha iniziato ad assumere un nuovo aspetto per me: anche persone appartenenti alla media borghesia, con determinati studi potevano farsi convincere dalle parole di un uomo ad abbandonare tutto, figlз compresз. Persone che, dopo aver donato tutti i loro averi alla comunità Sannyasin, sono rimaste senza nulla solo per la promessa di raggiungere l’illuminazione. Se ci penso mi sembra sconvolgente. Poi vedo Pune: immagino i giardini, i fiori, i luoghi nascosti dove poter meditare, penso alla gioia che devono aver provato tutte quelle persone a vedere un altro mondo possibile, lì davanti ai loro occhi. E forse per un attimo ci credo anche io. Poi mi torna in mente lo sguardo velato di lacrime di Jane Stork aka Ma Shanti B., nel documentario Wild Wild Country, e mi vengono i brividi: per un decennio e più un uomo ha giocato usando delle persone, le ha usate come cavie per vedere dove poteva arrivare. E la setta nella mia mente riprende quei contorni mostruosi che ho sempre immaginato.
Gods of Greece, di Arianna Stassinopoulos Huffington
Per calcolarlo vi rimando, come sempre, a Simon&theStars