Tutto è iniziato da una madeleine. No, non era l’ora del tè, né mi trovavo a Combray; ma era un sabato mattina napoletano a casa dei miei genitori con mio figlio che mi chiedeva che dolcetti fossero quelle barchette che stavo mangiando.
Allora gli ho raccontato di quanto le madeleine fossero diventate famose grazie al racconto di Proust1 e di come anche un semplice gusto familiare ci potesse far tornare alla mente dei ricordi.
I ricordi svolgono un ruolo cruciale nel mantenimento dell’identità personale. Mentre il corpo può subire cambiamenti e limitazioni legate all'età, i ricordi continuano a definire chi siamo. Rivivere eventi salienti della propria vita ci permette di mantenere un senso di continuità e di riaffermare la nostra identità in un contesto in cui molte altre cose sembrano mutevoli.
“Nella vita di ogni individuo, famiglia, comunità o società, la memoria è di fondamentale importanza. È il tessuto dell’identità.” 2
La memoria è la mappa dei nostri ricordi, che segnano la strada da percorrere, perché raccontano chi siamo, offrono un prezioso legame con il passato e una guida per il presente e il futuro, fornendoci il fondamento della nostra identità e una connessione con il mondo che abitiamo.
Inoltre, la memoria è strettamente legata al benessere emotivo.
Nel saggio “Come fare perché ti succedano cose belle”, la psichiatra Marian Rojas Estapé3 parla di come l’amore per un ricordo possa mitigare il dolore.
Partendo dall’assunto a cui era arrivato lo psichiatra Viktor Frankl, per cui le persone in grado di sopportare più efficacemente le sofferenze di Auschwitz erano quelle che avevano trovato in qualche modo un senso alle proprie esistenze, la dottoressa Estapé interpreta questa capacità in chiave moderna sottolineando come
le persone che trovano uno scopo, un obiettivo, un senso nella vita, hanno più motivi per essere felici. Un individuo che possegga pensieri e ricordi saldi, legati a persone che ama, a momenti speciali, a sogni per i quali vivere, sarà più gioioso e felice.
Herbert Benson, professore associato di medicina presso il Mind Body Medical Institute di Harvard, parla di benessere ricordato. La rievocazione di ricordi di eventi positivi e gratificanti, emozionanti o gioiosi del passato permette all’organismo di liberare sostanze chimiche antidepressive. Se si assorbono immagini di attività e di mobilità, il corpo riconfigura, nel vero senso della parola, la visione che ha di se stesso.
Il neuropsichiatra francese Boris Cyrulnik ne ha dato dimostrazione con numerosi esempi. All’Università di Tolone ha lavorato con malati di Alzheimer: molti di loro, che avevano dimenticato le parole, ricordavano però affetti, musica, gesti e dimostrazioni di tenerezza.
Secondo alcuni studi, le persone malate di Alzheimer conservano i ricordi legati alla musica perché la parte del cervello predisposta alla memoria musicale è danneggiata solo in parte dalla malattia.
In un articolo del The Washington Post intitolato: “La musica e i ricordi”, la giornalista Marlene Cimons scrive: “La musica può aprire porte dimenticate sulla memoria4. Gli scienziati dicono che per esempio quando suoniamo, a differenza di quando semplicemente ascoltiamo, usiamo la memoria ‘procedurale’, un tipo di memoria ‘implicita’ a lungo termine, che fornisce la capacità inconscia di ricordarci delle abitudini o delle routine di tutti i giorni, come scrivere con le dita su una tastiera, andare in bicicletta o lavarci i denti, senza doverci pensare. Questo tipo di memoria si differenzia da quella ‘episodica’, un tipo di memoria a lungo termine, ed ‘esplicita’, che fornisce ricordi coscienti ed è quella che usiamo per ricordarci, per esempio, la lista della spesa.
La memoria episodica ha origine nell’ippocampo, la regione del cervello che per prima viene attaccata dall’Alzheimer; mentre la capacità di cantare o suonare musica appartiene alla memoria procedurale, il che significa che non c’è bisogno di pensare intenzionalmente a quello che si sta facendo. Un esempio noto è quello del celebre cantante Tony Bennett, di 96 anni, che anche durante le sofferenze dell’Alzheimer poteva continuare a cantare le sue canzoni più famose.”5
Ma non solo, i ricordi, quando sono condivisi, possono aiutare a sostenere anche il nostro morale sul lavoro. Infatti, eventi come cene di compleanno, anniversari, ritiri o viaggi con i colleghi permettono di contrastare l’ansia e la solitudine, incoraggiare le persone ad agire in modo più generoso gli uni verso gli altri e aumentare la resilienza.
È quanto è emerso da un sondaggio condotto dall'Harvard University in collaborazione con Conference for Women, in cui è stato chiesto a quasi 1.500 partecipanti quale fosse il loro senso di comunità sul lavoro prima e dopo la pandemia.
La cosa più rilevante emersa dal sondaggio è che il senso di appartenenza verso la propria organizzazione è diminuito del 37% a causa della pandemia, con un forte impatto sul coinvolgimento.
Le persone che percepiscono un sentimento di comunità hanno infatti il 66% in più di probabilità di rimanere nella propria azienda.
“Serve coinvolgere la leadership per ricostruire quel tessuto sociale che si è perso, a cominciare dai singoli team. È necessario ascoltare le proprie persone e offrire loro occasioni di socialità, tornare a farle sentire parte. Soluzioni che difficilmente potranno ovviare alla diffusione della ‘me economy’, ma che possono tuttavia controbilanciarla.” È quanto scrive Biancamaria Cavallini in questo articolo sul Il Sole 24 Ore.
La condivisione dei ricordi è stata anche oggetto di uno uno studio pubblicato sulla rivista accademica Cyberpsychology, Behavior and Social Networking, in cui è stato esaminato l’effetto mnemonico della pubblicazione di esperienze personali su social media, arrivando a dimostrare che la pubblicazione sui social facilita la nostra memoria autobiografica, in quanto questa abitudine permette di ricordare meglio le esperienze condivise online, rispetto a quelle che teniamo per noi. 6
Inoltre, il giornale The Conversation ha provato a studiare la reazione che abbiamo alla condivisione dei nostri ricordi online, e di come l’anticipazione del giudizio attraverso i “Mi piace” sui social media ha iniziato a modellare il modo in cui le persone condividono i propri ricordi con gli altri. Nello studio si legge: “Anche se i partecipanti hanno riconosciuto che i loro ricordi erano personali e non dovrebbero essere influenzati dai social network, alcuni hanno comunque scoperto di pensare in modo diverso a un evento a causa della sua reazione sui social media. Le piattaforme stanno iniziando a modificare il modo in cui viviamo il nostro passato. In futuro, questa parte di routine della nostra vita potrebbe continuare a modellare il modo in cui ricordiamo individualmente e collettivamente.”
Questo futuro non è così distante. Pensiamo alle intelligenze artificiali che per essere più efficienti devono sapere sempre di più sul conto di chi le usa. Ed è così che con il nuovo aggiornamento di ChatGpt, rilasciato a febbraio di quest’anno, è stata inserita una funzione che permette all’intelligenza artificiale di ricordare gli argomenti di cui parliamo per evitare di dover ripetere le informazioni e rendere le conversazioni future più utili.7
E se la nostra mente decide cosa trattenere nella memoria e cosa lasciare andare, saremo invece sempre più a contatto con dei ricordi permanenti, conservati in un’altra memoria e condivisi con persone che magari avremmo dimenticato. Quindi ora più che mai sarà cruciale riflettere a priori su quali ricordi scegliere di preservare e condividere, garantendo che essi continuino a riflettere autenticamente chi siamo e a guidarci nel nostro percorso di vita, con il rischio di consegnare a social e intelligenze artificiali anche pezzi di noi che invece potrebbero, in seguito, avere un potere emotivo negativo.
Come si domanda Beatrice Petrella in un articolo sul magazine indipendente SiamoMine:
In questo caso dobbiamo per forza conservarli o dovremmo imparare a riconciliarci con l’idea che ciò che non vogliamo ricordare può essere lasciato andare?
Nelson Mandela, Fonte: https://www.nelsonmandela.org/about-the-centre-of-memory1
Andrew Budson, primario di neurologia cognitiva e comportamentale, responsabile dello staff di formazione e direttore del Centro per le Neuroscienze Cognitive e Traslazionali all’Ospedale per gli Affari dei Veterani di Boston (https://www.ilpost.it/2023/03/07/la-musica-e-i-ricordi)
Interessante la riflessione sui ricordi legati alle nostre interazioni emozionali sui social media. Grazie per avere aggiunto questo pezzetto al racconto, non ci avevo mai pensato.
Molto interessante, davvero. Ti consiglio “La vita segreta dei sensi” di A.Ward, io scrivo molto di ricordi e lavoro con i sensi e l’ho trovato illuminante, perché alla fine sono i sensi il portale dei ricordi❄️