“L’intera letteratura del passato sarà distrutta. Chaucer, Shakespeare, Milton, Byron, esisteranno solo nella versione riscritta, nel nuovo linguaggio, non solo cambiati in qualcosa di differente, ma in qualcosa di opposto a quanto volevano essere”.
George Orwell, 1984.
Ritorno dopo un mese di pausa travolta tra affanni lavorativi ed impegni scolastici, che non sono ancora finiti. Infatti, ora con la fine della scuola, e la scelta di come occupare 3 mesi di vacanza di mio figlio (3 mesi!), mi aspetta la recita scolastica!
Quanti di voi sono alle prese con le ultime prove di memoria per evitare sfuriate e occhiatacce della maestra?
È da qualche mese che ormai ascolto sempre le stesse battute e canzoncine. Ma la prima che mio figlio arrivò con il copione di Biancaneve e i sette nani, mi sono trovata di fronte a queste frasi:
Brontolo: “Una donna tra i piedi, non è mai niente di buono!”
Brontolo: “Date alla donna un dito e vi prenderà tutto il braccio”
Cornacchia: “Ecco che torna quell' isterica della regina!”
Cucciolo: “Se lo vorrai, potrai riordinare la casa, cucinare i nostri pranzetti ed accomodare i nostri vestitini! E giocare con noi ogni sera! E cantarci delle belle canzoni!”
Il copione è modellato sul cartone animato della Disney, riprendendo integralmente alcune battute. Trattandosi di una riscrittura e non dell’originale, non capivo perché non riadattare al contesto del 2023 battute di un cartone animato del 1936.
La mia perplessità era come spiegare certi modi di dire a un bambino di 6 anni e del perché non si trattasse di frasi da ripetere al di fuori della recita.
Tralascio il fatto di quello che si è scatenato nella chat di classe quando ho tentato un confronto con gli altri genitori e il linciaggio di alcuni che mi accusavano di voler cambiare un classico Disney!
È un fatto che le fiabe della tradizione orale siano state modificate nel corso dei secoli anche in base al contesto storico in cui venivano narrate. Ce ne sono accenni addirittura in una novella contenuta nel Trecentonovelle di Franco Sacchetti del 1399.1
La stessa Disney si è posta il problema, inserendo in alcuni film un disclaimer che avverte: "Questo programma include rappresentazioni negative e/o trattamenti errati nei confronti di persone o culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e lo sono oggi". Dichiara apertamente i suoi intenti: "Invece di rimuovere questo contenuto, vogliamo ammetterne l'impatto dannoso, trarne insegnamento e stimolare il dialogo per creare insieme un futuro più inclusivo" e ha fatto di più, aprendo un sito, StoriesMatter, dedicato proprio agli stereotipi sbagliati presenti in alcuni classici.
Si tratta di un’annosa questione, quella dell’adattamento di testi letterari per uniformarli alla sensibilità dei giorni nostri, che ultimamente si è riaperta riguardo le opere di Roald Dahl, di Agatha Christie o di Ian Flaming. Le modifiche riguardano spesso aggettivi usati nella descrizione dei personaggi, che potrebbero, secondo gli stessi editori dei due autori, offendere i lettori in materia di genere, appartenenza etnica e caratteristiche fisiche.
Si è scatenato un ampio dibattito, con qualcuno che ha suggerito di adottare un disclaimer modello Disney per i libri.2
La revisione dei testi avviene ormai da tempo e in Usa e in Gran Bretagna esiste una figura apposita: i sensitivity reading.
Ma la questione rimane.
Da genitori quante volte ci si ritrova a leggere storie e a modificarne delle parti perché ci si rende conto che, essendo state scritte in altri momenti storici, tendono ad esprimere visioni della società non più condivise e che pertanto non si vuole trasmettere aə proprə figliə.3
Come si fa a spiegare contesto storico, stereotipi e modi di dire a bimbi e bimbe piccolə?
Non esiste una risposta, ma molteplici risposte e l'unica soluzione è quella di ascoltare altre voci. Potete leggere quella di Andrea M. Alesci, scrittore e lettore per ə più piccolə e autore di Linguetta, nella sezione “Altre parole, altre voci”.
Operazioni del genere a mio avviso avvengono senza considerare chi legge.
Trovo assurdo tali iniziative su libri destinati ad un pubblico adulto, pubblico che ha tutti gli strumenti per capire l’epoca storica in cui sono stati scritti o ambientati, il linguaggio utilizzato e che ne caratterizza i personaggi che in quel contesto sono immersi.
Per quanto riguarda i libri di Dahl, condivido l'opinione di Matteo Ferrari, docente di italiano, che scrive: “Occorre allora chiedersi se l’idea pedagogica che sta alla base di un simile ragionamento non nasconda, al di là delle buone intenzioni, delle insidie. Tra il ripetere continuamente ai ragazzi e alle ragazze che il mondo è un luogo cattivo e ingrato e il far credere loro che il mondo sia una culla costruita su misura per ognuno di noi, esistono parecchie posizioni intermedie che meglio potrebbero favorire la crescita dei giovani.” 4
Non sottovalutiamo l'intelligenza di bimbe e bimbi. Non neghiamogli il piacere della lettura e la scoperta dei meravigliosi mondi contenuti nelle storie, da genitore penso che resta a noi il compito di prenderli per mano e accompagnarli durante la loro avventura.
Visioni, Ascolti & Letture
Chissà se l'ispirazione per questa newsletter non l'abbia data la visione in questi giorni per l'ennesima volta di tutti gli episodi di Poirot, il singolare investigatore belga nato dalla penna di Agatha Christie.
Sul tema favole e fiabe della tradizione orale, consiglio di recuperare il podcast di Carlo Lucarelli “In compagnia del lupo” prodotto da Sky arte, in particolare questo episodio, di cui ne ho parlato anche io tempo fa.
Consiglio anche il podcast “Sulla razza” di Nadeesha Uyangoda, Nathasha Fernando e Maria Catena Mancuso che affronta la questione di alcuni termini quali “negro”, “colorismo”, “negritudine” e della loro traduzione.
Un autore sul quale mi auguro non si abbatta mai la scura della censura è P.G. Wodehouse i cui giochi di parole “collocate” in un preciso contesto storico sono la sua cifra stilistica. Qui ho scritto del perché c'è bisogno di leggerlo.
Altre parole, altre voci
Se scegliamo di leggere Roald Dahl o Agatha Christie, sappiamo di leggere storie non contemporanee ma che ancora ci parlano, nonostante alcune parole ed espressioni siano lontane, superate o addirittura ostili per noi che viviamo nel 2023.
Quelle parole ci possono sembrare sbagli, ma quando sono state scritte rispondevano a sensibilità e contesti diversi. Cambiarle significa eliminarle dal discorso, dimenticare come guardavamo il mondo e come un’opera di finzione raccontava una maniera diversa di starci, in quel mondo.
Possiamo cambiare la forma della narrazione, coi filtri dell’adattamento (vedi il recente graphic novel di Sara Colaone dal Barone rampante di Italo Calvino) o della traduzione, tant’è che di uno stesso testo possono esistere più traduzioni, necessari tradimenti per portare quei sensati grumi di parole da una cultura all’altra.
Però le parole di chi scrive una storia sono le parole che ha scelto perché quella storia diventasse di chiunque. Proprio quelle parole.
Invitare ragazzi e ragazze all’esplorazione e lasciargli la parola, può stupire. Nelle scorse settimane m’è capitato di chiedere dei consigli in alcuni gruppi di lettura delle medie: e chi c’era fra i più nominatə? Già, Roald Dahl e Agatha Christie.
Chi legge ha un potere immenso: di scegliere che storie leggere, e di decidere se quelle storie continuano a dire quello che hanno da dire.
Racconto sulla diatriba fra Dante Alighieri e un fabbro fiorentino, in cui il vate, ascoltando i suoi versi intonati da un fabbro con evidenti adattamenti folklorici e modifiche dei versi dovute alla trasmissione orale del testo, si accanisce contro i suoi attrezzi scaraventandoli a terra. Per motivare il suo gesto di fronte al fabbro attonito, il poeta esclama: «Tu canti il libro e non lo di’ com’io lo feci, io non ho altr’arte e tu me la guasti». https://it.wikisource.org/wiki/Il_Trecentonovelle
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